Archivio | marzo 2015

Le Masserie sparse sul territorio di Taranto

Taranto: Terra di MASSERIE

Le masserie sono l’emblema della civiltá contadina, intimamente legate alla storia del territorio pugliese. La Masseria che stiamo visitando si chiama Masseria IL FEUDO, in dialetto la gente di San Giorgio la chiama “Lu Fievu” Transitando con la macchina, in bici o semplicemente facendo footing si vede immediatamente questa antica costruzione, perché appare come immersa in un bagno di luce, circondata da un verde smeraldino. Il terreno è pianeggiante

e non vi sono molte costruzioni intorno, sì che il nostro sguardo non può non scorgerla. Le vostre sensibili ed attente Maestre, ed io, vi abbiamo pregato di Guardare le cose che vi sono attorno, perché molte volte guardiamo senza VEDERE!

Le Masserie nascono essenzialmente dalla necessitá di favorire

una migliore cura e amministrazione di grandi appezzamenti di terra. Comunitá di famiglie,(famiglia patriarcale) contadini e coloni scandiscono la loro vita secondo i ritmi della terra e della sua coltivazione. Nella provincia di Taranto esistono moltissime Masserie che producono vino, olio, latte, formaggi,grano e farina, verdure,mandorle,fichi, e tanta altra frutta, carne e insaccati. Crispiano e Martina sono le zone più ricche di Masserie. Crispiano viene definita addirittura la Città’ delle cento Masserie.

Ci sono molti documenti che attestano l’attivitá delle antiche fattorie rurali. Persino ai  tempi dei romani vi erano delle costruzioni abitative adibite alla cura delle coltivazioni, usanza che continuó anche sotto la dominazione saracena e che proseguí con le masserie regie del periodo Svevo-Angioino (1400).
Si ritiene che il fenomeno “masseria” nella zona della Murgia dei Trulli, risalga all’epoca della conquista longobarda. Questi ultimi favorirono l’aggregazione dei pastori in gruppi più numerosi nelle masserie e nei casali. La parola masseria deriverebbe dal latino “maseria o maserius” come fusione dei termini “mas o maes” (campagna) ed “er” (casa). Queste costruzioni rispondono ad uno stesso criterio costruttivo, che le divide in due parti: l’abitazione del signore, o del “massaro” (responsabile del fondo agricolo), e pertinenze secondarie, dove trovano spazio gli alloggi dei contadini e la zona lavorativa.

Gli edifici sono circondati da spessi muri, che comprendono vasti giardini e non di rado vi si trovano delle chiesette con all’interno degli affreschi caratteristici dell’epoca. A San Giorgio ne è stata ritrovata una in un apogeo( scantinato) situato nella Masseria San Giovanni denominata Cripta San Giovanni nel cui interno si può ancora riconoscere un affresco della Madonna , parziali figure di santi e tracce di decorazioni di stile bizantino. Le altre Masserie che sorgono attorno al territorio sangiorgese sono quelle della Baronia, la masseria San Paolo, Montefusco.

Vi sono diverse costruzioni di masserie: – a corte, la masseria viene costruita all’interno di mura che la racchiudono, difendendola dalle minacce esterne; – a tetto a trullo: – a edificazione lineare: masserie che si caratterizzano per essere un´unica costruzione, con le abitazioni congiunte alle altre costruzioni; – a casino: costruzione che si sviluppa nel XIX secolo e che segna la distinzione piú netta fra la casa del padrone e l’azienda. Oggi appaiono disseminate tra le strade statali o in mezzo alle campagne, con imponenza e dignitá. Alcune sono state restaurate e talvolta destinate all’agriturismo. Sono così utilizzati come Sale gli ambienti, un tempo produttivi, della masseria, i frantoi, le mangiatoie, i palmenti cura per far riscoprire la cultura e la tradizione rurale ai turisti piú attenti.

Approfondimento

Frantoio: Stabilimento dove si macinano le olive e si produce l’olio.

Palmento: stabilimento dove di lavorano le uve e si fa il vino.

Mulino: stabilimento dove si raccolgono i sacchi di grano, si macina il grano e si produce la farina (separandola dalla “crusca”)

Anna Marinelli

Foto di Cosimo Montanaro

Foto di Cosimo Montanaro

scolaresca in visita al feudo

scolaresca in visita al feudo

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2011-08-11 LUNA SUL FEUDO-luna sul Feudo2

Settimana Santa

Canto popolare della settimana santa, propriamente del venerdì santo che nel secolo scorso si cantava durante la processione dei Misteri. La voce è quella suggestiva della signora, all’epoca ultranovantenne, Cristina Marinelli Suma, alla cui memoria dedico questo video. L’immagine di sfondo appartiene all’Artista Massimo Puglielli

Buone Palme

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Dalla tradizione popolare, recitata dai nostri avi al momento di scambiarsi il ramoscello d’ulivo benedetto.

“Questa è la palma e comu ti piace/

non’è tempo di stare nemici/

so’ li ‘bbrei e fannu la Pace/

questa è la Palma e comu ti piace!

umili, preziosi sapori

Sarà perchè stiamo vivendo dei tempi di vacche magre, sarà perchè mi sto facendo vecchia e come le galline vecchie fanno buon brodo, io invecchiando sto migliorando con la cucina, riproponendo ai miei  i vecchi  piatti, le vecchie minestre di una volta…sempre lasciandomi trasportare sull’onda della memoria, che a volte accende veri e propri falò nella mia mente, e mi riescono particolarmente bene. Mio marito non fa che gustare tutto..richiedendomi anche volentieri di fare il Bis, di quello o quest’altro piatto…io sono felice dei suoi apprezzamenti ma devo tenerlo a freno, perchè essendo buongustaio, mangerebbe più di quanto gli è consentito da una buona e sana alimentazione.

Martedi scorso ho preparato delle polpette, e ricordando una cosa che faceva sempre mia madre, ho fritto alcune fettine di pane nell’olio delle polpette. Beh! l’ho fatto felice..

A volte, i nostri genitori, quando facevano le polpette, ed erano sempre poche , solevano friggere qualche fetta di pane raffermo… così, quando facevano le porzioni per se stesse si tenevano le fette di pane fritto…con solo l’odore della carne e lasciavano volentieri le pregiate polpette ai loro bambini… perchè, “dovevano crescere”. care, carissime le nostre mamme, solo ora comprendiamo il vero valore delle loro azioni.

pane fritto

pane fritto

la mia superzeppola

la zeppola ti la capu cannaruta00

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Amici, confesso che la ricetta delle zeppole di San Giuseppe, tanto care alle nostre tavole di meridionali, sono un pò difficili da fare, per chi come me va volando di qua e di là e di tempo ce n’è sempre poco…però quest’anno ho sorpreso  mio marito preparandogli una superzeppola farcita di ricotta, scaglie di cioccolata, anzi pezzettoni di cioccolata fondente,,. una macinatina di noce moscata,,,un odorino di liquore al mandarinetto…e una busta di zucchero al velo, di quelle che ci avanzano sempre dai panettoni di Natale… ve lo assicuro..sarà una vera bomba, provatela anche voi.

Ah! le zeppole si possono comperare vuote, presso i forni /panifici delle nostre parti…e così il gioco è fatto…

Zeppole, zeppole, zeppole

Giusy Scarincile zeppole di mariella

zeppole di mina baldarozeppole di  Katia ancora da farcirezeppolona di Pinarosa

Zeppolona di San Giuseppe, di Pinarosa
Ingredienti per la pasta choux:
– 250 ml di acqua
– 100 gr di burro
– 180 gr di farina
– 5 uova
– un pizzico di sale
Ingredienti per la crema chantilly :
– ½ di latte
– 6 tuorli d’uova
– 5 cucchiai di farina
– 5 cucchiai di zucchero
– ½ buccia di limone da grattugiare
– 1 busta di panna vegetale da 250 ml.
– gocce di cioccolata.

Collocate sul fuoco una pentola con l’acqua, il burro ed il sale.
Quando il burro si sarà sciolto spegnete ed aggiungendo tutta la farina in un sol colpo mescolate energicamente.
Rimettete sul fuoco per circa un minuto e continuate a rimescolare fino a formare un impasto abbastanza compatto.
Fate raffreddare il composto e aggiungendo un tuorlo alla volta mescolate fino al suo assorbimento prima di procedere ad aggiungere i successivi.
Mettete la pasta choux in un sac a poche e facendo tanti cerchi concentrici formate la zeppolona su un foglio di carta forno adagiato su una teglia.
Accendete il forno in modalità statica (ossia non ventilato) e portatelo a 200°. Quando avrà raggiunto questa temperatura infornate la zeppola riducendo il calore a 180°.
La zeppola dovrà cuocere per circa 45 minuti.
A cottura ultimata spegnete il forno, aprite di poco lo sportello e fatela raffreddare.
Per la crema chantilly :
In una ciotola unite i 6 tuorli d’uovo con 5 cucchiai di zucchero, 5 cucchiai di farina, 1/2 l. di latte e
mescolate bene.
Filtrate il tutto in un colino in modo da eliminare i grumi ed unite mezza buccia di limone grattugiato.
Cuocete a fuoco lento girando continuamente sempre nello stesso verso con un cucchiaio di legno e
spegnete quando si sarà addensata.
Montate la panna e riponetela in frigo.
Quando la crema sarà fredda, unite la panna montata e girate (risulterà una crema più leggera).

Iniziamo la farcitura della zeppolona :
con un coltello ben affilato aprite la zeppolona in senso longitudinale e farcitela con la crema aggiungendo poi le gocce di cioccolata. Sovrapponete l’altra metà della zeppola e spolveratela con lo zucchero a velo.
La zeppolona di San Giuseppe è pronta per essere assaggiata.

Chiancaredde e cime ti rape

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CHIANCAREDDE E CIMI TI RAPE

E ccè puteva mancà ‘stu piattu intr’a quistu quaternu ti li sapori antichi?
Era nnu piattu ca si faceva sulu lu ‘nviernu, ka li rape crèsciunu sulu ti nviernu, e vòlunu puru lu friddu, ca ci nqualche ‘nviernu faci nna sittimana di sciroccu si uaştunu puru sobbra alla chianta e facinu subbitu la cannedda e lu fiuru giallu!
Li chiancaredde e cimi ti rape sontu tanta famose ca lu sapunu ‘ntra tuttu lu munnu ca ete nnu piattu ca vene ti la Puglia bedda nostra.
Ti li rape si ccogghjnu li cimi cimi e si llavunu buene.
Quannu si ston’a còcinu li chiancaredde, si ménunu li cimi ti li rape intr’alla stessa acqua e si fàcinu còcere insieme. Po si scòlunu e si ccònzunu cu ll’olliu forte, nna spica d’agghja e qualche sarda salata.
(Mi ricordu ca questa sarda salata cuștava nnu saccu ti soldi e si sce ccattava alla putèa, e ti la mittevunu ntra nnu fogliu ti carta doppia e pesante e si la pajavunu comu li sarde!)
Si puteva mettere puru nnu diavulicchiu asckuante e nna francata ti pane crattatu ca si bbrustuleva e dava nnu sapore speciale alla pasta.

Màma, quannu no puteva fa li chiancaredde, ccattava nna pasta ca si chiamava “Dischi volanti” ca sumigghjavunu alli chiancaredde… ma nonc’era la stessa cosa!

Quarèmma

Il Termine secondo alcuni, è la contrazione dialettale da Quaremma e Quaresima, mentre secondo alcuni storici locali si tratta di un “francesismo” (di cui il dialetto salentino è pieno) derivante appunto dal francese Caremerer che significa “osservare la quaresima” e Careme che si traduce con “quaresima, quaresimale”, assimilato verso il XVI sec., durante la presenza delle truppe francesi nel Salento.

Nella tradizione popolare, la CAREMMA, rappresentava la mamma del Carnevale morto nel giorno di “Martedì grasso” e veniva appesa sui terrazzi delle case o sui pali ai crocicchi delle strade il “Mercoledì delle ceneri” a ricordare l’inizio della Quaresima.

La Caremma serviva a ricordare ai cristiani che la Chiesa stava vivendo un periodo di penitenza e di lutto, per cui le feste, le baldorie e gli eccessi del Carnevale dovevano essere eliminati e si dovevano affrontare giorni di digiuno, di sacrificio e di astinenza dalla carne. Era inoltre un rudimentale calendario per mezzo del quale si teneva il conto delle settimane prima di Pasqua.

Era vestita di nero in segno di lutto. In una mano, teneva il fuso e la lana da filare, quali simboli della laboriosità del tempo e della vita che trascorre. Il tempo della penitenza e dell’astinenza veniva rappresentato e scandito dalle sette piume di gallina (una per ogni settimana della quaresima) conficcate in un’arancia (o una patata) attaccata all’altra mano.In alcuni paesi della Grecìa salentina invece dell’arancia la caremma aveva sette taralli).

Di queste piume, se ne toglieva una per settimana sino al Sabato Santo, giorno in cui la stessa Caremma veniva o strappata, o data alle fiamme in segno di purificazione e dell’inizio di una nuova stagione di vita, dopo il suono delle campane che annunciavano la Risurrezione del Cristo.

FOTO E TESTO DAL WEB

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La festa di San Giuseppe nei paesi tarantini

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Nei paesi del tarantino, in alcuni paesi, nell’approssimarsi la festa liturgica di San Giuseppe, castissimo Sposo di Maria e Padre putativo di Gesù, si svolgono significative manifestazioni a margine della Festa Religiosa, con le sante messe affollatissime, con la processione del simulacro del santo che “visita” benedicente, alcune strade del paese. A Monteparano e a San Marzano, si usa allestire le “mattre”…altarini riccamente imbanditi con piatti tipici, il numero delle pietanze devono essere 15, sulle quali predominano alcune spezie come il pepe, il garofano e la cannella.  Il  tutto esposto con armonia, eleganza e gran gusto. Si potranno ammirare in questi giorni vere e proprie installazioni artistiche… si tirano fuori le più belle tovaglie, si intronizza il santo su bianche scalinate coperte di teli di raso lucente..dove predomina il colore giallo e marroncino… quasi ad imitare i colori dell’abito e del manto di San Giuseppe, come ce lo rimanda l’iconografia del santo in innumerevoli “figurine”.

“Ogni anno il 18 sera e tutta la giornata del 19 marzo i devoti di Monteparano aprono le loro porte a quanti vorranno visitare i loro impegni devozionali. Il 18 marzo sera è possibile “assaggiare” alcune delle tipiche pietanze accompagnate da un buon bicchiere di vino.”  da una postazione all’altra,  da una famiglia all’altra, si forma un flusso interminabile di visitatori, le viuzze strette dilatano le loro pareti di calce per accogliere fedeli e curiosi, attratti dalla poesia di queste esposizioni.

Conservando fino alla fine l’installazione, i titolari devoti non lasciano mai andar via nessuno senza offrire una pagnotta di pane benedetta, un tarallino, un dolcetto tenuti da parte per essere donati a coloro che verranno a visitare.

Hanno iniziato per tempo a preparare queste delizie… per giorni e giorni hanno impastato kg di fresca farina, per farne pane, pasta, orecchiette, tagliolini( massa) cavatelli, “friciddati” e “pizzicarieddi”.

Le donne hanno implorato giorni di sole affinchè la pasta si asciugasse bene… l’hanno stesa sui freschi “cannicci” e sulle ampie spianatoie perché non fosse deteriorata dall’umidità! ECCO LE 15 PIETANZE: 1. arance condite con garofano, cannella e pepe; 2- insalata verde condita con olio ed aceto; 3- cavolfiore lesso ed aromatizzato con spezie ed olio della massa; 4- ceci lessi conditi con olio della massa e spezie; 5- fagioli lessi conditi con olio della massa e spezie; 6- fave lesse condite con olio della massa, spezie ed una acciuga; 7- lampascioni al sugo; 8- baccalà al sugo; 8- baccalà al sugo; 9- frittura di cavolfiori; 10- frittura di baccalà; 11- frittura di lampascioni; 12- massa con olio a base di cipolla e prezzemolo e cozze; 13- vermicelli con olio e cozze; 14- riso con olio e cozze; 15- ziti con pane tostato e miele; 16- carteddate.

Una tradizione questa che si perde nella notte dei tempi..risale forse ad almeno duecento anni addietro, ed è ammirevole vedere l’impegno che viene profuso…  è la devozione al santo falegname che le muove…che le benedice e le ricolma di consolazione, le esorta a continuare con gioia la tradizione dei padri.

*Foto di Cosimo Baldaro e Giuseppe Santovito.

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