Archivio | giugno 2020

Come in un quadro di Monet

come in un quadro di Monet (2)

Come in un quadro di Monet

ci sono tutta io!

Mi espando come l’aria,

mi disperdo in mille rivoli di poesia…

come polline che viaggia per i tratturi

e rinnova la faccia della terra.

Come uno spirito propizio alle fioriture

mi mescolo alla coperta di spighe

per scaldarmi il cuore avvolto dal gelo di mille inverni.

Rubo il rosso a questa tavolozza di papaveri

per tingermi le labbra recluse

dietro una maschera di sorrisi perduti.

Tu intessi tutte le mie stagioni, Poesia,

e mi metti sulla bocca le Parole

fino a ieri rinchiuse in abissi del Silenzio.

La mappa segreta

chiunque

La mappa segreta

 

Nella bella pubblicazione ad opera del comune di San Giorgio Jonico intitolata “Tagghjate: Itinerari per immagini”, con fotografie di Ciro Nigro, si possono ammirare delle straordinarie fotografie di alcuni tra gli innumerevoli esemplari di flora presenti nelle tagghjate nei decenni scorsi, ove fiorivano, oltre alla lussureggiante macchia mediterranea, persino delle rare piante di orchidee.

Nella pubblicazione si possono ammirare splendide fotografie di alcune pareti tufacee che riportano cifre, nomi e date; ci sono immagini di grafiti visibili e meno visibili che, anche viste in loco, possono essere percepiti solo dall’occhio di un visitatore attento e interessato.

La mia guida aveva in serbo per me una sorpresa, nel parlarmene gli occhi gli brillarono di una luce straordinaria. Sembrava condurmi magicamente sulle tracce di un tesoro nascosto, da scoprire.

Mi diceva: “ Sai, Anna, che tra li zuccaturi c’era anche un monaco? Un monaco che doveva essere molto colto, perché ha scolpito frasi, quasi ad imitazione di un versetto della Divina Commedia, con un carattere cirillico, quindi un carattere molto ricercato che non tutti potevano conoscere.

Una frase comincia così: “chiunque…”, “Chiunque di voi…”, pensavo mentalmente cercando di dare un senso compiuto a quella traccia di storia scolpita nella pietra anche se “di voi” non si leggeva perché coperto da un riversamento di materiale di risulta che ne copriva il prosieguo, per cui questa frase sembrava sospesa nel nulla, ma la parete sulla quale questa frase era stata scolpita con questo carattere elegantissimo, non tutti la potevano conoscere.”

Lui, la mia guida, ci era andato tantissime volte, nella sua mente aveva tracciato una piccola ma essenziale mappa mentale; “ecco”, proseguì sempre con quella strana luce negli occhi, “ecco, quando si arriva a leggere la prima di quelle due lettere, bisogna fare tanti passi, tanti passi a destra, tanti passi a sinistra, vorrei conservare il suo segreto. Il numero dei passi era incerto.”

Molti anni trascorsi lontano dalla sua terra gli avevano appannato la lucidità del ricordo. Ci ha provato una, due volte, finché non è apparsa davanti ai nostri occhi questa scritta favolosa, questo carattere che a me pareva strabiliante. “Chiunque..”, la nostra guida era raggiante, ci spiegava animatamente cosa avesse voluto significare tale parola, perché in quel luogo vi aveva lavorato suo padre e suo zio, i quali vi avevano speso il loro sangue e il loro sudore tagliando quei tufi, “zuccando” quella pietra che era servita alla costruzione di gran parte delle case del nostro paese e dei paesi viciniori, raggiungendo persino la città capoluogo di Taranto.

Chiunque di voi si metta a lavorare su queste pietre sappia che nelle tagghjate può anche lasciarci la vita: ecco, forse era questo il significato di “quella parola” che quell’uomo, quel Monaco, voleva lasciare ai posteri come avvertimento. Era come voler dire “ lasciate ogni speranza o voi che entrate in questo luogo”, perché qui c’è davvero da guadagnarsi il pane col sudore della fronte e magari rimetterci anche la Vita. Mi raccontava, il mio accompagnatore, di quel padre e di quel figlio che morirono dilaniati dopo aver sistemato alcune mine che, tardando a scoppiare, decisero di andare a vedere cosa fosse accaduto, perché la combustione della miccia non andava avanti, non sapendo che invece si stava compiendo il loro triste destino. Infatti, quando furono vicini a pochi passi dalla miccia, questa deflagrò

dilaniando i due lavoratori, padre e figlio, ripeto, così tanto che fu necessario recuperarne i resti nelle calderine,che gli zuccaturi usavano per trasportare il materiale fino di risulta.

Il padre della nostra guida per molti anni si recò in quei posti, quasi a cercare le ombre dei suoi amici, compagni di lavoro con i quali aveva diviso la mezza cipolla, il pezzo di formaggio pecorino, il pezzo di pane racchiuso nel canovaccio tessuto al telaio dalle mani instancabili delle loro donne.

Gli si turbava l’anima ricordando quella tragica, duplice morte.

Tutto questo ci raccontava la nostra giuda, mentre si camminava tra le nostre amate tagghjate, mi sembrava di essere Dante accompagnato per mano dal suo maestro Virgilio.

 

La regina dell’estate

friselle

 

Buongiorno amici, scorrendo qualche post del nostro Gruppo ho scorto queste favolose Friselle di Rosa Gigantiello…sono bellissime, dorate, perfette. Ho voluto metterle in copertina perché in questo tempo le friselle saranno le regine dell’estate ed avranno un posto di preferenza nelle nostre cene… Condite con pomodori sierosi e pieni di seme, con friggitelli, con peperoni alla “skacchiata”, con cipolla o aglio, con olive e origano saranno sempre squisite e risolveranno il pasto sobrio della sera.Complimenti Rosa…me le porterò anche nel mio Blog, se tu me lo permetti. Felice Giugno a Tutti i nostri cannaruti.

La vostra Anna