Ora, finalmente, dormirò! scenderà il sonno come una calda trapunta di quiete, sulle membra indurite; scioglierà il nodo dell’angoscia, darà ristoro ai pensieri che si accumulano nei corridoi dell’anima mia, impedendone il riposo. Ho detto: “dormirò” ! e lo grido forte, nel mutismo labiale che sa di primo gelo.
FERRUCCIO GEMMELLARO: Amore quale amore per… Il Convivio Editore, 2020
In questa torrida Estate, caratterizzata da una odiosa pandemia, qualcosa mi ha distolto dal piangermi addosso, dal “fissarmi” su quel che sarà domani, per me, per i miei figli, per l’umanità intera.
Che fortuna però, che in questo mio assillo esistenziale, mi abbia raggiunto un amico, di quelli con la A maiuscola,con un suo cadeaux, fatto di carta, fatto di parole, di narrazione incalzante, tanto da non darmi tregua, tanto da non darmi il tempo di cadere in depressione. Il dono mi è venuto da lontano, da una eminenza del mondo culturale; pubblicista, cronista, scrittore, poeta e tanto altro. Basta spulciare il suo curriculum vitae cercando su internet per restare stupiti della sua vasta produzione di opere e mi piace di riportarne qualcuna:Narrativa: L’acchiatura (1976, opera prima), Quella notte fatta di sogni e di mistero (1989), Centofiabe in biblioteca (1989), Il Conte d’Aci Castello (1992), Stele daunia per la vergine Beccarino (1997, testo adottato in Scuola media e consulenza letteraria per traduzione teatrale a Manfredonia, Teatro S. Michele 25.05.1999), Racconti cisfantastici (1999), La pulzella delle specchie (2001, testo adottato dall’Assessorato alla Cultura di Manfredonia), La mercenaria – da Bianca Cappello ad Alvise Cassier (2005), L’amante italiana di Annibale – Iride la salapina (2009), Semaforo nero (2016).
SaggisticaStellette e radar (1983), L’Omologismo (1996, il cantautore Giovanni Feltri s’è ispirato all’omologismo per il suo pezzo Una vita che vale), Omologismo storico (2003), Le stellette che portavamo (2004, www.anavafaf.com), Omologismodue (2007, integrato con Dvd), OmologismoTre (2013). Omologismo quattro (2016), Di qua e di là del fiume (2017).
PoesiaFlorilegio (1992, antologia), Omologismo (1995, silloge), Trittico poetico (1995, antologia), Realtà e poesia (1997, antologia), Letteratura Italiana Contemporanea (2005, antologia).
Ferruccio ha operato culturalmente e socialmente da Nord a Sud, ha conosciuto usi e costumi sempre diversi ed ha amato ogni cosa che ha fatto con intensità e passione senza sbavature. La sua è stata quasi una vita da nomade, fino a quando una terra, un luogo, non lo ha abbracciato tanto forte da fargli mettere radici.
Questa sua ultima pubblicazione reca in copertina una suggestiva immagine pubblicata nel Gruppo Facebook ” Con il bianco e nero nelcuore“, che Ferruccio ha trovato nel mio blog Saporidelsalento e mi ha onorata per questa sua scelta. Una foto che deve averlo notevolmente affascinato per quella struggente grazia che emana “ la ragazza col vummile”, piccolo orciuòlo di terracotta con il quale le fanciulle si recavano alle fontane pubbliche onde attingere acqua fresca per dissetare l’atavica sete del meridione. I”profili” delle donne che hanno intrecciato qualsivoglia esperienza con l’autore sembrano ora immense… ora piccole meteore che han brillato qualche settimana soltanto nell’Universo umano del Nostro. Una figura però pèrmea e si staglia nella sua vita quasi impalpabile, quasi invisibile, ma la sua influenza umana e familiare è come un filo di Arianna che tutto riconduce alla donna per antonomasia, la Madre!
L’architettura di questa straordinaria opera del Gemmellaro è perfetta! La scelta narrativa, il suo enigma, l’ immagine che correda il suo ultimo capitolo, fa vibrare le corde del cuore e ci fa suoi sudditi per sempre. Siamo tutti lì, rappresentati, chiamati per nome, il mistero ha riservato un posto in carrozza per ciascuno di noi… il cocchiere di sesso arcano, il ricco e il povero, il cinico, il poeta incantato dell’amore, la poeta ed il guerriero.
Caro Ferruccio,
tra un paio di giorni sposerai la tua compagna Raffaela, colei che ha messo fine alla tua interminabile ricerca della Donna per eccellenza, quella Donna che sapesse conquistarti in toto, mentalmente, spiritualmente, culturalmente, fisicamente. Questo caleidoscopio di donne che magistralmente hai incorniciato e affrescato nel tuo libro altro non è che il tuo percorso di ricerca di qualcosa di divino, di appagante, di totalitario. Di queste donne, molte per poterne tenere il conto, ne descrivi i tratti fisici, analizzi le componenti psichiche, ne apprezzi i vizi, resti abbagliato dalla sfrontatezza di alcune, resti soggiogato dalla riservatezza di altre, sei catturato dall’ignoto che si celava in ciascuna di esse. Il tuo libro, letto sulla riva del mio adorato porticciolo, mi ha coinvolta e abbagliata dalla tua complessa e importante personalità. Il tuo definirti, uomo radar, non solo per un ruolo che hai rivestito in gioventù, lo hai esteso anche nella tua vita di relazioni umane. Hai saputo inserire tra la trama e l’ordito, elementi storici, (vedi il famigerato sessantotto) elementi architettonici, argomenti e lacerti paesaggistici, in una armonizzata intelaiatura romanzesca. Ho sorriso ritrovando i “signorotti” Cicinelli, che tanta negativa fama hanno avuto nella città di Grottaglie, cittadina pugliese in cui hai vissuto un periodo della tua giovinezza. Sono grata alla Vita che mi ha permesso di incrociarti sulle impervie strade della Cultura, della Poesia e dell’Arte. Spero d’aver meritato le attenzioni che hai riservato alla mia attività di “Cercatrice di pepite della Memoria”.
Spero di poter spendere ancora tutte le mie energie nella difficile arte del Tramandare. Mestiere che ci accomuna e ci appassionerà finché avremo respiro.
Il vento nel giardino dei melograni si alzò lieve, smosse le foglie di un verde smeraldo, le solleticò, ed esse risero danzando, rese le guance dei melograni di un rosso carminio come chi arrossisce per amore. per un lungo momento li sedusse e li fecondò di succo asprigno… colmò i calici del desiderio per la sete di labbra vittime dell’arsura di agosto. passò tra i muri scorticati scherzando con i gatti dei cortili. poi, come richiamato ad altra impresa, si allontanò, non senza aver lasciato me con la bocca colma di stupore. ero ritornata bambina, come quando i miei occhi videro la prima volta un giardino dell’Eden sulla terra, dove danzavano, lieti, i melograni.
Ormai è solitaria la vigna che amasti nel rito di parole cadute, come foglie morte, al suolo.
Solo ora pesano i silenzi e le parole non dette volteggiano impazzite, negli atri della memoria.
Passi titani risuonano tra i filari ad infrangere cattedrali di reciproco egoismo; a sconfiggere ombre di presenze mancate.
Muraglie, le parole taciute, i gesti incompiuti, la carezza non data per eccesso di pudore.
Ma, troppo presto si compì per te la temuta profezia: come tuono venuto da lontano come folgore che si abbatte d’improvviso.
Ti prego, narrami ancora li cunti della mia infanzia dorata: donami ancora grappoli rossi, preziosi come rubini, ai miei occhi di bambina.
Soltanto al crocevia mi permettesti di prenderti la mano e percorrere al tuo fianco l’ultimo tratto di vita, sconvolgendo relazioni verticali radicate nelle vene contadine.
E madre tua divenni, terapie d’amore m’inventai, per un lampo di luce nei tuoi occhi.
Tu, padre, la vigna abbattuta che riscattasti abissi di silenzio pronunciando, con l’anima alla gola, con ritrovato amore, il nome mio.
Vivo nel ricordo dei giorni dal sapore di pane e acqua-sale di uve dolci, rosse come rubini che adornano fanciulle saracene.
mio padre aveva una vigna dal nome buffo, che strappava sorrisi, poco più grande di un lenzuolo di lino, e produceva un vino ambito dagli dei e dagli artieri che stavano in città.
era un sovrano, mio padre, nel suo podere, con solo sette filari di primitivo, e a guardia del suo piccolo tesoro aveva posto, per sentinella, un ulivo.
mia madre si attardava a raccogliere acini appassiti che l’indomani avrebbe imprigionato in una pagnotta fragrante dal vago sapore della felicità.
mi rivedo avanzare, nel sogno ricorrente, tra i filari roridi di brina, tra i tràini ed i tini di uve traboccanti, e voci di donne tra risate e canti.
ora che il tempo stratifica memorie, come cortecce che denunciano anni, ripenso spesso a quel dito di vino che riscaldava il cuore e appannava il bicchiere, come se fossi ancora piccolina con i miei cari, intorno ad un braciere.