Archivio | Maggio 2019
Il giardino incantato
IN QUESTO GIORNO DI MAGGIO PIOVOSO, MI RIFUGIO NEL MIO GIARDINO INCANTATO!
Roveto ardente
Roveto ardente
Abbagliante Luce
che dipingi le nuvole
di rosso cardinale,
mi indichi suadente
il sentiero del sogno
e l’avanzare alacre del tramonto.
Raccontami di albe bambine
e del volo ciarliero delle rondini
e dell’amato campanile
che s’ incendia ogni sera
senza bruciare,
come un roveto ardente.
Altezzosi iris
Mammole,
siete preludio di Marzo,
di violetto quaresimale
vestiti.
Fate la pariglia
con gli altezzosi iris
che vi sovrastano
in altezza, ma non raggiungono
la profondità
della vostra ossequiosa presenza,
nel corteo multicolore
della Primavera in amore.
Portami a volare
Mia madre non sa
MIA MADRE NON SA
Mia madre si muove in moto circolare,
con occhi laser
mi scandaglia di soppiatto
fino alle radici del cuore.
Mia madre ha occhi di verbena
che fiorisce in conche di cemento.
Mi soppesa su stadere di silenzio,
mi solleva come fronda,
mi misura in altezza e in profondità.
Lei non sa,
che mi scorre nelle vene
un torrente di Poesia.
I delfini di Taranto
Taranto, la città dei delfini!
Salmo 39
SALMO 39
“Leggimi un Salmo”
-disse mia madre-
con un fiotto di voce raggrumata.
Ed io, aprendo a caso l’immortale libro,
nel silenzio della stanza lo intonai:
“Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed Egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido”.
Una luce s’insinuò tra la pupilla e lo sguardo
di mia madre, e mansueta come agnella mi sorrise.
Ed io proseguendo.
“ Mi ha tratto dalla fossa della morte…”
e la voce onda alta diveniva,
e urlo non gridato, e ribellione per secoli sopita.
Si levò un coro,
come da bocche oppresse dal silenzio.
Raggiungeva tutti i morti dimenticati,
i vivi con un piede nella fossa.
Era un video, mia madre, ingigantito,
e proiettava le sue angosce sui miei giorni.
Di colpo sentii nelle mie vene
l’incolmabile ritardo della storia,
i suoi treni perduti, le sterili attese.
Sentii il passato e il presente
impossessarsi del mio Io ereditato,
quale gesto d’invasore che impone dittature.
Come bimbo cullato l’affanno si acquetava,
ed allentò, mia madre, la stretta della mano,
come chi ha smesso di temere.
Allora, solo allora, alla mia ansia concessi di apparire:
all’ansia degli occhi e della mano,
all’ansia del cuore e del domani,
all’ansia della vita e della morte.
Caduto, ormai lo schermo delle convenzioni,
mia madre mi appariva in tutta la sua statuaria fragilità.
Le sue fibre suonarono allora,
la tastiera infinita del dolore.
Nelle sue canne d’organo serbava il pianto
di tutti i bimbi abortiti dalla miseria,
tutti i giochi perduti dell’infanzia,
il sudore del pane proletario,
il suo tempo di carrube e d’innocenza.
Il pugno chiuso, ora impotente, ripongo.
Il pugno che sa del grano e della zolla.
del verde degli ulivi e i mandorleti.
Il pugno ammansito, ora ripongo
sul grembo delle attese e dei domani,
mentre il davidico salmo torna a consolare
come l’incontro dell’Angelo e Daniele.
“Mi hai messo sulla bocca
un canto nuovo”
Un canto di raccolti e di sereno,
un canto di vendemmie e fioriture.
Radici di Ulivi
HA RADICI DI ULIVI NEL PETTO
Ha radici di ulivi nel petto,
la mia terra,
crescono come liane sotterranee,
trasportano linfa
lì dove si assetano le zolle.
O ulivo generoso,
famigliole di passeri pasteggiano golosamente
dei tuoi frutti
caduti sulle aie,
e una fila di formiche laboriose
ti solleticano il dorso rugoso
memore di fatiche e secolari raccolti.
Silenziosi e muti, sorridono i tronchi
che sanno ospitare il ramarro operoso,
sono stanze di hotel i tuoi interstizi
per volatili venuti da lontano.
Donna immutevole
Esiste una donna immutevole
il cui nome i fauni
rinfrescano alle fonti,
il cui nome è un anemone
di brina sbocciato
dal respiro della notte.
Lei tesse i mantelli
per le spalle più tristi,
le sue dita curano piano
le ferite più rosse,
il suo canto raduna le rondini
dalle varie lontananze.
C’è una donna immutevole
il cui nome è leggero
come un battito d’ala,
il cui nome è il frutto
di un bacio tra vocali e consonanti,
su di esso il sole più vecchio
non osa tramontare.
Negli occhi
acque che si guadano
in vista delle sue sabbie bianche,
nei suoi occhi la spiaggia più estesa
per l’ippogrifo dalle ali d’oro.
C’è una donna immutevole
il cui sguardo rifrange
i pleniluni,
la cui pace si estende
come piena fluviale,
lei circumnaviga l’isola e lo scoglio
con le vele di un sogno ricorrente.
Esiste una donna
le cui parole volano nell’aria
trattenute tra i becchi dei gabbiani,
le cui parole, senza grido nè voce,
raggiungono le orecchie più lontane.
Lei trema dinanzi al silenzio
e teme la morte inattesa,
si prodiga per il passero ferito,
l’arcobaleno ripiega con le mani.