E’ capitato proprio oggi, Giornata Mondiale della Terra, l’incontro
con un nutrito gruppo di studenti delle medie, presso il Plesso Giovanni Pascoli di San Giorgio jonico.
Su invito della dottoressa Anna Maria Greco ci siamo date appuntamento alle 15 di oggi, venerdi 22 aprile, nell’auditorium della scuola.
Dal momento dell’invito, al momento dell’incontro con i ragazzi, sono trascorsi alcuni giorni che mi sono serviti per organizzarmi nel migliore dei modi.
L’argomento mi era molto caro, avrei dovuto parlare delle mie amate “Tagghjate” ovvero delle cave tufacee che sorgono alle pendici del Colle Sant’Elia. Il Colle, intagliato dai cavamonti per ricavarne conci di tufo necessari all’edificazione delle case bianche del Sud. Chi mi segue da tempo, sa già già che in questo blog che curo da diversi anni potrà trovare molto materiale digitando la magica parola “tagghjate“
E sì, queste cave erano Tagliate con un robusto Piccone, in dialetto “Zuèccu” da una categoria di lavoratori chiamata appunto “Zuccaturi”.
Ed io avevo un prezioso reperto da mostrare in questa circostanza. Ero felice di poterlo portare con me a testimonianza di come fosse devastante e faticoso il lavoro di questi lavoratori, tra i quali erano da annoverare certamente nonni e bisnonni miei, dei docenti presenti e anche degli studenti.
L’arnese pesava quattro kg., presentava un manico robusto, consumato, glorioso!




Partendo dalla declamazione della mia poesia Tagghjate/ culla di memorie, ho avuto modo di approfondire e spiegare alcuni termini dialettali, altrimenti incomprensibili alle nuove generazioni abituate come sono al linguaggio mediatico, alla compressione estrema della PAROLA.
Tagghjate/ Culla di memorie
Vuleva cu era vivu tata core
e cu s’acchjava po’ ti qua a passare
e cu viteva mo com’ ha cambiatu
lu postu addò tant’anni ha fatiatu.
Lu picu cu lu zueccu ha maniggiatu
li piezzi cu la riga l’ha squadratu,
sobbra li spaddi po’ l’ ha carisciatu
nu muezzicu ti pani ha uatagnatu.
Cu lu sutori e cu caddi alli mani
non c’era quera vita ti cristiani
e po’ alla sera do’ fave scarfati
cu do cicore ‘ccuesi alli tagghjate.
Ci mitti recchia e sienti cu lu core
ancora mo si sente lu rumore
di quiri zuecchi e quiri zuccaturi
ca onu chiarišciatu quisti muri.
Sti lamie prufumati ti murtedda
ti rucla, ti timu e chiapparini
e ‘ntra nu bucu picca picca ‘ncupu
l’anitu ven’a faci la rinninedda.
La vucirtodda qua è la reggina
e javitante è lu passarieddu,
lu marcu, lu turdu e lu scursone
li ferie fannu qua ogni staggione.
Cè formi strani questa petra teni
mmuddata cu lu sangu ti li veni
cu lu sutore amaru ti la fronte
ti quanti onu cavatu quistu monte.
‘Ntra quistu monte tant’anni bbandunatu
ci sapi quanta mmunnezza onu scittatu,
‘ntra quiri cavi c’onu fattu la storia
ca invece erunu culla di memoria.
Tiempu ha vinutu ca nn’amu riculatu
ca ‘sta dimenticanza era piccatu
ca li tagghjate sontu na ricchezza
e mo ggiustati sontu na bellezza,
sontu nu ponte tra passatu e presente
sontu nu libbru ti nu cuntu anticu,
e ci lu cuntu uè cu assai dura
rispetta li tagghjate e la Natura. Anna Marinelli 15/9/2001
TAGLIATE/ CULLA DI MEMORIE
Vorrei che fosse vivo mio nonno
e si trovasse a passare da qui
per vedere come è cambiato
il posto in cui tanti anni ha lavorato.
Usò il piccone e ne trasse conci
che squadrò come se usasse una riga,
poi li trasportò sulle sue spalle
per guadagnare un pezzo di pane.
Con sudore e con i calli alle mani
non era certo una vita da cristiani,
poi alla sera due fave riscaldate
accompagnate dalle cicorie raccolte nelle Tagliate.
Se ascolti con sentimento
potrai ancora sentire il rumore dei cavamonti,
che con i loro picconi,
hanno reso bianche queste mura.
Queste terrazze profumate di mirto
di rucola, di timo e di capperi,
dove in un anfratto poco profondo
la rondine viene a fare il nido.
La lucertolina in questo luogo è regina
e abitante è il passerotto,
il corvo, il tordo e il serpentello
vengono a trascorrere le ferie ogni estate .
Che strane forme possiede questa pietra
che fu irrorata dal sangue delle vene,
e fu bagnata col sudore della fronte
di quanti hanno cavato questo monte.
Questo monte abbandonato per molti i anni,
dove hanno buttato spazzatura,
quelle stesse cave che hanno fatto la storia
e che erano la culla della memoria.
E’ venuto però il tempo del ravvedimento
la dimenticanza era un peccato,
perché le Tagliate sono una ricchezza
ed ora messe a nuovo sono una bellezza,
sono un ponte tra il passato ed il presente,
sono un libro di un racconto antico,
e se vogliamo che la storia duri a lungo
rispetta le Tagliate e la Natura.
Ho parlato a braccio, ho spiegato loro cosa fossero le Cicòre, verdure gustose che si potevano raccogliere nella parte bassa del colle, insieme alla bietola selvatica, ad asparagi, rucola, tarassaco, quest’ultima è una verdura amarognola che se non raccolta fiorisce e produce una pallina di lanugine bianca e leggera che si espande nel terreno sottostante portando lontano le leggerissime spore contenenti il piccolissimo seme garantendo così la”continuità della specie”.
Chiarišciare– Chiarire, imbiancare, rendere chiaro. Una volta tolta la parte della parete calcarea esterna, brunita e flagellata dalle intemperie e dallo scorrere del Tempo, si rivelava la parte bianca del tufo, quello che sarebbe intaccato e levigato con maestria, e che sarebbe servito all’edificazione di una nuova casa.
Lamie prufumati ti murtedda – La biodiversità della vegetazione è davvero notevole nelle nostre cave, ci crescono lentischi, fichi, timo e mortella, cespugli stupendi di capperi abbarbicati alle pareti, borragine, trifoglio stellato e persino rare orchidee che nascono e appassiscono nel folto della vegetazione senza che occhi desiderosi di bellezza le possano ammirare.
Vucirtòdda- nelle cave viveva indisturbata la fulva volpe, gazze, corvi, passeri e rondini,tordi e fringuelli, (turdi e franciddi) civette e pipistrelli, bisce e innocui serpentelli. E quando al cavamonte andava bene, poteva persino catturare qualche riccio, dalla prelibata carne, da portare a casa come una benedizione di Dio.
Loro, i ragazzi, hanno ascoltato in silenzio, ed io ho parlato come mi dettava il cuore più che con parole ricercate.
Ma quando ho detto loro, che “Vi deve ardere una fiamma nel petto per il territorio” non ho potuto impedire alle lacrime di commozione di invadermi, ben celate dalla mascherina, ma tradite dalla voce.







Un tuffo nel passato. Nei ricordi dei racconti di mia madre, il cui padre era cavamonte. Violentemente tornano prepotenti i ricordi dei suoi racconti che io bambina, ascoltavo affascinata. È bellissima la tua capacità di tradurre in versi, i sentimenti più profondi e radicati in noi. Grazie Anna, che bello che esisti💖🌷 Maria Antonietta
Cara Rinninedda, di quei conci che tu dici, piu’ avanti nel tempo tufi-uccetti, in fondo ad una cava, in estate, ne ho caricati camion. Nessuno ti puo’ capire piu’ di me di quello che tu canti con soavita’ di intenti. Quando piove, poi, il peso di quei conci pesano, tu non sai quanto.
Ho sempre guardato con attenzione le cave di tufo e carparo di San Giorgio Jonico quando per lavoro percorrevo la statale 7 ter. e speravo di poter avere il tempo e l’occasione di visitarle un giorno, purtroppo non mi è stato possibile.
Ho letto d’un fiato la tua poesia senza aver avuto bisogno della traduzione, come sempre sei stata molto dettagliata, brava ed a tratti commovente nel recuperare nei tuoi ricordi quei particolari salienti del nostro comune passato adolescenziale.
Un fraterno abbraccio Anna!