Negli anni passati quando mi trovavo a passare da Via Corsica, all’altezza della casa di Paskalina para-para, molte volte mi imbattevo nella figura di Miminu Savinu, nell’atto di intrecciare panarieddi di tutte le misure. Non che Mimino fosse un cestaio di professione, lui amava intrecciare cestini per puro diletto. Ed era particolarmente bravo nell’intrecciare canne e “vinchicieddi” ovvero Verghe tenere e duttili per poter realizzare il fondo e la parte superiore dei cestini con il manico curvo e ben rigido. Accanto a sé aveva qualche semplice arnese come coltello, punteruolo, un piccolo seghetto e fasci di canne finemente tagliate tutte di una misura, come se le avesse misurate ad una ad una.
Oggi sono pochi coloro che costruiscono i cesti anche perché l’uso delle materie sintetiche ne ha messo in crisi la produzione.
Gli stessi contadini utilizzano, per la raccolta, cassette e contenitori di plastica al posto dei cesti. E’ cambiato l’utilizzo di questi manufatti che sono diventati oggetti da collezione ed elementi decorativi nell’arredamento. Infatti, qualche volta entrando nella casa della mia amica Palma vedevo sui mobili della cucina, in bella mostra tutta una serie di panarieddi piccoli, grandi e di altre misure, tutti messi in esposizione come suppellettili preziosi.
Questi semplici contenitori erano di grande utilità dovendo trasportare frutta deperibile, oppure quando si andava a funghi, quando il contadino doveva portare a casa qualche grappolo d’uva.
I frutti si depositavano nel paniere con molta delicatezza e così, respirando dalle feritoie, restavano freschi fino all’arrivo a casa.
Oggi sono pochi coloro che costruiscono i cesti anche perché l’uso delle materie sintetiche ne ha messo in crisi la produzione. Gli stessi contadini utilizzano, per la raccolta, cassette e contenitori di plastica al posto dei cesti.
Per fortuna però, dalle nostre latitudini si può ancora ammirare la certosina arte dei cestai. Durante la festa patronale dell’anno scorso ho avuto il piacere di vederne uno che si è lasciato fotografare volentieri, e lì, nel suo sguardo, ho potuto cogliere un lampo d’amore di questi artigiani in via di estinzione, verso le cose belle, umili e semplici, della nostra civiltà contadina.
” ‘U panarijdde” .
giornale tarantino fondato nel 1902 da Vincenzo Leggieri
Panieri di pere e fioroni, di Gaetano Vizzarro
Paniere di albicocche; Foto di Cosimo Vizzarro.
Foto mia
Veramente splendide ed emozionanti le immagini di quei panari e panarieddi sempre pieni di frutta e ortaggi, spesso regali di parenti o vicini di casa. Quanti chilometri percorsi nell’adolescenza con uno o due panarieddi appesi al manubrio della bicicletta.
La foto del cestaio (mi sembra lu panararu o lu cistinaru) è veramente straordinaria!
Ciao Gino, che piacere ritrovare i tuoi splendidi commenti ai quali ci tengo tantissimo. L’immagine di te bambino o ragazzo col panarieddo appeso al manubrio della bicicletta è davvero fantastica! Grazie di cuore!
Spero di ricordare bene se dico che il bimbo in pagliaccetto regge un “panaridduzzu”, diminutivo del diminutivo panarieddu!
Sììììììììì Gino, un panierino su misura per il bambino, il principino di casa!
La foto “panieri e melograni” è un vero capolavoro da concorso. Complimenti all’autore!