“Controra”, magica parola che sprigiona memorie
e fa rivivere i meriggi assolati della mia adolescenza
svanita come il volo di un concorde, di cui solo il rombo persiste;
memorie roventi che gli affanni quotidiani non disperdono.
Controra: “Si dorme, bambine!”
E l’enunciato materno a me suonava come una preghiera, noi con il respiro sospeso nella stanza,
fissavamo le imposte, rese incandescenti dal calore.
Controra, magica parola che ritorna, oggi come ieri, a parlarmi di tempi felici,
carichi di teneri ricordi che paiono carezze al mio cuore,oggi forse un po’ indurito.
Controra, magica parola.
Le fave da sbucciare e l’umile sonoro lavoro materno.
Le fave… potente ricordo che mi giunge,
frammisto a un sapore irripetibile.
Il desco serale arredato con i piatti di ceramica
della vicina Grottaglie, col galletto centrale
decorato a mano:
“Chi lo scopre per prima sarà più fortunata”
diceva mia madre per incitarci a mangiare,
quando tutti intingevano il pane nel piatto grande,
quel pane che sapeva di grano e di fortuna.
Controra, magica parola, e solari silenzi di allora,
frantumati dai carri che tornavano dai campi,
col contadino quasi sempre appisolato.
Il cavallo conosceva la strada… l’automobile no!
Controra, magica parola, e affioranti ricordi
di calzine corte e pudici rossori sulle guance innocenti:
“ le treccine oggi non le voglio fare” e già la donna faceva capolino.
Controra. “Si dorme bambine!” e noi a programmarci il futuro
scrivendo appunti su foglie di pannocchie,
custodite dentro il materasso.
“E’ pomeriggio bambini, vorrei che riposaste!”
Mi scopro a dire le cose di mia madre.