Una volta si faceva il pane in casa
e si portava al forno pubblico, anzi,
veniva una fornaia a prelevarlo,
adagiato su lunghe tavole infarinate
e coperto con coperte di lana.
Ai piccoli di casa la mamma (o la nonna)
soleva fare una bambola di pane detta
lu monicu.
In estate si utilizzava l’uva passita
raccolta pazientemente dalle donne
durante la vendemmia,
per confezionare un prelibato pane
cu lli passili o cu ll’alìe nere
Si mangiava tutti nei piatt’ riali, quelli fatti nella vicina Grottaglie, col galletto centrale decorato a mano.
la fotgrafia è tratta dall’Esposizione Antichi Mestieri allestita in occasione della festa patronale, in San Giorgio Jonico, antico palazzo De Siati
ti ricordi di Stella d’lu furno di via castriota? dove si portava il pane o meglio, c’era una signora aziana un pò claudiante che veniva a prenderlo a casa e lo portava al forno. nel periodo primaverile al primo spuntare d’li fave di vungule, il sapore del pane caldo del forno con le fave era qualcosa che oggi si è perso.
i giovani di oggi, con l’avvento del fast food, hanno sicuramente bisogno di questi tuoi racconti per capire cosa è stata la cultura del salento.
ti ringrazio di cuore per tutto quello che fai per noi e per il “mio” paese.
un bacio
mino
quella donna si chiamava Paskalina….Grazie Mino!!